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Bloodborne

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Abbiamo fatto visita agli studi di From Software a Tokyo poco prima del lancio di Bloodborne. Eccom com'è andata.

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Arrivo al G-Building, l'attuale sede di From Software, e sono quasi sorpreso che non sia stato accolto con un'ascia conficcata nella schiena e un enorme cartellone che mi dice "sei morto". Il loro marchio di fabbrica è oramai quello di sviluppare giochi che non hanno paura di mettere alla prova il giocatore, e punire lui o lei in modo brutale per un solo passo falso o per un errore. Eppure, è proprio di fronte a giochi che appaiono insormontabili che il nostro senso di realizzazione, non appena riusciamo a superare le difficoltà, si amplifica e dà soddisfazioni come mai prima.

Nel corso del mio primo playthrough con Dark Souls II sono morto circa 25 volte. Durante il tutorial. Morire è uno dei modi migliori per comprendere le azioni basilari del gioco, come saltare e colpire i nemici con una spada. Per un giocatore medio in cerca di emozioni forti, questo tipo di approccio può creare confusione e disagio in un primo momento. Ma quelli che scelgono di restare, presto capiscono che la morte è solo un'altra lezione da imparare, e utilizzano ogni battuta d'arresto per imparare ad essere migliori non appena si riprende a giocare la volta successiva.

Per quelli di noi che hanno avuto la fortuna di assistere agli albori dei giochi per PC come un mezzo di massa, morire faceva parte del gioco e, anzi, era addirittura un modo per migliorarsi. Abbiamo imparato a controllare il povero idraulico Maria spingendolo fino alla morte migliaia di volte, e abbiamo imparato in che modo utilizzare l'accelerazione di Sonic spingendolo contro mille lance ogni volta. Non erano i lunghi racconti ad insegnarci come giocare e non c'erano neanche barre della salute sempre più lunghe a tenerci in vita, né tantomeno l'auto-aim che ci aiutava a sopravvivere agli assalti di mostri. Bastava solo giocare e morire un sacco.

Ma in epoche più recenti - in cui tutto ci viene imboccato, anche per colpa di giocatori troppo schizzinosi - tutto questo è oramai impensabile, e quando capita di confrontarci con titoli che recuperano questa "antica filosofia" non si può che essere contenti. E così ora sono qui. Nei loro uffici. Vivo.

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From Software nasce già nel 1986, ma è solo con il loro gioco del 2009, Demon Souls, che iniziano a farsi notare sulla scena videoludica. Secondo lo studio, i loro giochi usati vendono circa un centinaio di migliaia di copie. Ma quando Demon Souls ha raggiunto il milione di copie vendute, si è assistito ad un periodo di crescita esplosiva per l'azienda. Oggi sono circa 240 dipendenti, e più di 200 sono sviluppatori.

Segno evidente di questa crescita è la targa che troviamo fuori dal G-Building, un edificio di circa 13 piani, in cui From Software ha i suoi uffici al momento. Due piani hanno scritto "From Software" in un colore chiaro, e ciò indica che il testo era stato originariamente stampato sul pilastro. Gli altri sette piani hanno il nome della società scritto in un colore più scuro, quasi a voler dire che la loro intenzione è continuare ad espandersi anche nei piani superiori. Anche se non posseggono gli altri piani rimanenti, viene quasi automatico definire l'edificio il "Quartier Generale di From Software". In alternativa, lo si potrebbe chiamare "Plaza della Morte" e sarebbe ancora più figo.

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I loro uffici sono caotici e angusti come ci si aspetterebbe da un qualsiasi ufficio di uno sviluppatore di videogiochi. Scrivanie enormi formano un vero e proprio labirinto ai piani dedicati allo sviluppo, con centinaia di monitor di computer sparsi su. E giocattoli naturalmente. Robot, mostri e personaggi femminili tratti da qualche anime sono disseminati intorno a quasi tutte le postazioni di lavoro, probabilmente perché servono sia come fonte di ispirazione sia come momento di svago nei giorni di lavoro più stressanti. Non riesco a immaginare il caos che avremmo trovato, se avessimo fatto loro visita durante una giornata di lavoro qualunque.

Per fortuna, restiamo principalmente nella sala meeting, dove troviamo ad attenderci una PlayStation 4 collegata ad un enorme televisore, su cui vediamo apparire Bloodborne. Prendo il controller, e sono subito colpito da quanto rispondano bene i comandi rispetto al precedente titolo di From Software. Per imparare i comandi di base di Dark Souls II mi ci è voluta quasi un'ora, e ho ancora gli incubi di quanto questi fossero non propriamente eccezionali nella versione PC. In Bloodborne il personaggio fa quello che voglio io sin subito, e il movimento appare molto più fluido rispetto a prima.

Un'altra cosa è che le animazioni di attacco dei miei nemici non mi imprigionano in una raffica di fendenti, ma ho il tempo e modo di schivarli, anche se vengo colpito. In un mix di controlli reattivi e un arsenale di armi letali, riesco ad avere la meglio contro la maggior parte dei nemici. Il combattimento è ovviamente ancora molto impegnativo, e anche se, riesco ad avere un maggior controllo della situazione, i miei nemici riescono ancora ad uccidermi senza problemi. Ma con Bloodborne mi sono divertito decisamente di più rispetto alla mia precedente esperienza con Dark Souls.

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La mia sessione di gioco si svolge esclusivamente nei Chalice Dungeons alla fine del gioco. Questi sono dungeon generati in modo casuale, a cui i giocatori possono accedere se raccolgono i materiali giusti durante la loro campagna. Ogni dungeon ha tre livelli, ognuno con una serie di sfide e ricompense. Questa modalità è presente, naturalmente, per dare una marcia in più al gioco, e offrire continuamente ai fan una nuova sfida.

Il dungeon che ho provato è piuttosto breve, con un enorme corridoio che ha tre gallerie che si diramano al suo interno. Una porta conduce ad un mini-boss che custodisce una leva che devo attivare per arrivare al boss principale, e un'altra porta conduce ad un ponte che mi porta allo scontro finale. Un altro tunnel conduce ad un punto in cui ci sono mostri raccapriccianti e alcuni bottini che sono lì ad aspettarmi. Non ci sembrano aree tanto casuali come quelle viste nella serie Diablo, ma più come qualcosa che qualcuno avrebbe potuto effettivamente costruire. Come se un architetto pazzo con una moderata quantità di risorse fosse stato incaricato di realizzare un habitat perfetto per uno squadrone di mostri non-morti assetati di sangue.

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Il mio ultimo combattimento nel gioco è quello con l'enorme boss del primo livello di Chalice Dungeon: una mostruosità costituita da più non morti con enormi artigli al posto delle braccia. Corro verso di lui, e le sue unghie mi uccidono all'istante. La scritta "Sei morto" viene poi seguita dal logo Bloodborne.

Durante il mio secondo tentativo, faccio un po' meglio. Tento di stargli lontano, cerco di capire come mette a segno i suoi attacchi, e di tanto in tanto faccio un salto e gli sferro qualche colpo. Ma i miei attacchi a mala pena lo scalfiscono, e in poco tempo accade l'inevitabile e uno dei suoi massicci attacchi in salto fanno di me una frittella. Questo è impossibile.

Provo di nuovo, solo per il gusto di farlo. Mi tengo a debita distanza, sferro qualche colpo ancora, salto di nuovo. Improvvisamente, mi accorgo che uno dei colpi che ho messo a segno gli hanno tolto un terzo della sua barra vitale. Che cosa ha funzionato questa volta? Mi accorgo che manca un grosso tumore sulla gamba sinistra. Sono io il responsabile? Con questa consapevolezza, i miei colpi diventano sempre più efficaci, e ad ogni tentativo, riesco a diminuire la sua barra della salute.

Vi starete chiedendo se ce l'ho fatta alla fine. Certo che no, è un gioco From Software. Sono morto una decina di volte, e di sicuro sarei morto un'altra dozzina di volte prima di riuscire a finirlo. Ma mi sono divertito, e ho imparato molto da ogni morte. E se questo è ciò che ci aspetta una volta che il gioco sarà disponibile, penso già di amare profondamente Bloodborne.

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RECENSIONE. Scritto da Stefan Briesenick

Il nuovo lavoro di From Software combina alcuni degli elementi più forti della serie e convince per il suo fascino e nuove idee.



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