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We Happy Few

We Happy Few

Un trip allucinogeno a firma Compulsion Games. Ecco le nostre impressioni.

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Poco prima del PAX East, Compulsion Games - gli sviluppatori con base a Montreal, meglio noti per Contrast - hanno annunciato che il loro nuovo titolo, We Happy Few, sarebbe stato tra i titoli giocabili alla fiera. Una mossa coraggiosa, dato il gioco è in fase di sviluppo appena dalla scorsa estate.

Anche se il codice pre-alpha che abbiamo avuto occasione di provare sotto l'occhio vigile del creative director, Guillaume Provost, era dichiaratamente un primissimo prototipo, è stato chiaro fin dall'inizio che l'intenzione di Compulsion Games è di fare qualcosa di importante, di grandioso. E laddove la meccanica principale su cui si basava Contrast risultava intelligente ma senza convincerci del tutto, nel caso di We Happy Few il gameplay survival procedurale ci offrirà senza dubbio un'esperienza più profonda e più coinvolgente. E sicuramente molto più inquietante del suo predecessore.

We Happy Few

Ambientato nel 1960 su di un'isola in Inghilterra, We Happy Few ci mette nei panni dell'unico personaggio che sembra ancora lucido e sano di mente. Il resto della popolazione, infatti, indossa vere e proprie "maschere di felicità", crogiolandosi sotto gli effetti di una droga allucinogena chiamata "Joy", che permette - a chi la assume - di catapultarsi in un mondo colorato, sereno e avvolgente. A quanto ci viene spiegato, gli abitanti dell'isola - stordendosi con la droga - cercano di dimenticare qualcosa di molto oscuro che avvolge il loro passato. Tutti sono obbligati ad essere felici e chiunque provi o appaia infelice, verrà inesorabilmente perseguitato e picchiato. Il concept ci ha ricordato molto un vecchio show televisivo degli anni Sessanta chiamato The Prisoner (recentemente rivisitato dalla AMC con Ian McKellen), ed è molto evidente che Compulsion Games abbiano preso spunto da tante opere di fantascienza pregressa (compresi romanzi come A Brave New World e 1984).

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La demo inizia in una sorta di casa-rifugio in cui abbiamo la possibilità di fare scorta di alcuni beni essenziali come acqua, forniture mediche e simili. C'è un sistema di crafting nel gioco piuttosto profondo e, anche se non abbiamo avuto occasione di provarlo in modo accurato, ci siamo accorti che possiamo creare materiali solo in appositi banchi di lavoro specifici.

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Non appena usciamo dal nostro bunker, un uomo arriva correndo verso di noi, apparentemente in grande difficoltà. D'improvviso appare un poliziotto che lo colpisce con una pagaia fino a quando l'uomo non si accascia incosciente al suolo. Il messaggio è chiaro: non facciamo scenate, non corriamo. Se ci proviamo, facciamo la fine di quel poveraccio. Questo è il tema sotteso a We Happy Few, e in un certo senso si tratta di un gioco social stealth. Non fare cose che potrebbero suscitare chissà quali sospetti. Se vi dovesse capitare (cosa che sicuramente succederà, dal momento che altrimenti il gioco non avrebbe un motore narrativo), abbiamo a disposizione diverse alternative: tentare di scappare o, nel caso in cui incrociamo un gruppo ristretto di nemici, provare ad affrontarli ed eliminarli con violenza (e successivamente, spostare i corpi per non destare ulteriori sospetti, saccheggiare le loro tasche, ecc.), ma avete anche la possibilità di "impasticcarvi" di qualche "Joy".

La droga viene dispensata tramite le cabine telefoniche, ma è presente, in forma diluita, anche nell'acqua del rubinetto (che rende, di conseguenza, l'acqua incontaminata e pulita una merce piuttosto rara). Quando si assume la droga, i colori diventano più vivaci, la musica cambia e vi sentirete incredibilmente leggeri e felici. Il rovescio della medaglia è che una volta finito l'effetto, inizierete a sanguinare e dovrete sacrificare un po' della vostra sanità mentale (uno dei parametri che è necessario tenere sotto controllo per sopravvivere nel corso dell'esperienza). Possiamo immaginare che ci saranno situazioni in cui sarà necessario utilizzare la droga per riuscire ad infiltrarsi nella società dell'isola e conoscere i loro segreti, ma chiaramente il consumo di "Joy" ha un prezzo elevato.

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Proprio come nel primo Dead Rising, è necessario sopravvivere per 72 ore per riuscire a scappare dall'isola. Non sappiamo esattamente come si creano le condizioni per riuscire a fuggire, ma a differenza di Dead Rising dove Frank West aveva la possibilità di evitare di incorrere in alcuni pericoli nascondersi in un armadio, in We Happy Few dobbiamo necessariamente avventurarci per raccogliere cibo, acqua e forniture essenzialmente per sopravvivere. Questo, ovviamente, non mancherà di attirare l'attenzione dei nostri "amici" isolani...

Un aspetto interessante di We Happy Few è che la città che esploriamo viene generata in modo procedurale. Ogni volta che avviamo il gioco, il layout sarà diverso e non completeremo mai le stesse identiche missioni tutte le volte. Ma, a questo punto, Compulsion Games è stato piuttosto vago circa la narrazione complessiva del gioco. Ci sarà una storia principale da seguire, oppure la storia dell'isola ci viene restituita, pezzo dopo pezzo, attraverso una serie di missioni opzionali e attraverso scenari che i giocatori possono esplorare come meglio credono? Sicuramente questa è una questione che Compulsion dovrà affrontare.

Questa versione ancora molto grezza del gioco ci ha messo di fronte a due piccoli scenari. Il primo è ambientato all'interno di un mattatoio in cui dovevamo risolvere un puzzle per sbloccare una cassa. Sfortunatamente, non siamo riusciti a finire questo livello in tempo e dunque non abbiamo avuto modo di provare anche il secondo. In ogni caso, il primo ci ha fornito qualche elemento interessante per capire, almeno a livello superficiale, come funziona il gameplay. La demo pre-alpha ha un numero limitato di facciate e il sistema procedurale ha lasciato spazi tra alcuni edifici che rendono l'esperienza ancora più surreale di quella che è. E' vero, ci è stato detto che sono ancora alle fasi iniziali dello sviluppo, ma francamente ne siamo rimasti colpiti.

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Perché hanno deciso di mostrare il gioco nel corso del PAX East se sono pienamente consapevoli del fatto che il livello di sviluppo è ancora ad uno stadio primordiale? Un grande concept come questo non dovrebbe essere tenuto segreto per poi presentarlo più avanti agli editori?

Ma a quanto pare non è ciò che Compulsion Games intende fare. Anzi, la loro idea è di muoversi in modo indipendente, sostenuti da una community di appassionati che li aiutino e supportino nello sviluppo. Hanno in programma di lanciare il gioco su Kickstarter tra un paio di mesi, ma non necessariamente per finanziare il gioco (Provost ci ha detto che hanno le risorse sufficienti per auto-finanziarsi), ma piuttosto per costruire quella community dedicata necessaria per mettere alla prova le loro idee e costruire l'esperienza.

Si tratta di un nuovo approccio e sarà interessante vedere quale sarà la risposta da parte dei giocatori, visto che non viene chiesto loro di finanziare il gioco, quanto piuttosto dare il loro parere spassionato. Al momento il gioco è un'esclusiva di Steam, ma non ci sorprenderebbe nel caso in cui Compulsion Games decidesse di portare l'esperienza su console in un secondo momento.

Il genere survival può avere sicuramente declinazioni diverse rispetto a quella standard con gli zombie e con un'ambientazione post-apocalittica. Si tratta di un'idea fresca e terremo senz'altro d'occhio il gioco, anche se a nostro avviso la strada verso la conclusione è ancora molto lunga.

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Pubblicheremo prossimamente un'intervista di GRTV con il creative director Guillaume Provost, ma anche la nostra chiacchierata con la art director Whitney Clayton.

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